VOCABOLARIO DELLA LINGUA ITALIANA Novissima edizione minore Fuori commercio
Nicola Zingarelli

VOCABOLARIO DELLA LINGUA ITALIANA Novissima edizione minore

Redatta e aggiornata da Giovanni Balducci. Corredata da 16 tavole a colori e 16 in nero

Novissima edizione minore

A cura di Giovanni Balducci
  • 1962
  • Note: Rilegato in linson rosso, con impressioni pastello. Tavole di Franzoni, Cosimini, Spighi e Tòfani. AVVERTENZA "Alcuni anni sono passati da quando la Casa Editrice Zanichelli mi dette la nuova dimostrazione di fiducia incaricandomi di trarre dall'opera maggiore di Nicola Zingarelli un vocabolario adatto a essere adoperato con profitto specialmente dalle nuove leve di giovinetti, che, sempre più numerosi, popoleranno le nostre scuole. Questo compito mi si è rivelato meno semplice e sbrigativo del previsto: ho dovuto persuadermi che, in questa o in simili occorrenze, il lavoro dello sminuire richiede non meno impegno di quello dell'accrescere, se si faccia avvedutamente. E invero non era cosa da farsi con le forbici, o col pantografo. Bisognava operare non soltanto sulla quantità, ma anche sulla qualità del contenuto, per spianare qua e là la via e porgere la mano a quel meno provveduto lettore che dovevo tener presente. E non si è trattato soltanto di togliere; ho dovuto pure aggiungere qualche cosa che fosse particolarmente utile a quel tale lettore. Sicché debbo prevedere che questo vocabolario minore possa apparire molto, e forse troppo diverso da quello maggiore, dal quale è stato in gran parte attinto. Ma penso anche che di ciò non mi farà grave carico chi terrà giusto conto di quel che ho detto circa il principale intento di questa pubblicazione. Contribuiranno soprattutto a far subito notare questa diversità i mutamenti introdotti nella distribuzione dei vocaboli, la cui successione rigorosamente alfabetica procede ininterrotta, continuandosi anche attraverso quei misurati aggruppamenti che è parso utile conservare; fanno soltanto eccezione le forme alterate nominali in -accio, -etto, -ino, -one, e simili. Si è posta speciale cura nel qualificare i verbi, nelle forme e negli usi; degl'intransitivi (qui detti neutri) è stato indicato l'ausiliare; dei riflessivi sono state analiticamente distinte le varie spe-cie; le irregolarità sono state registrate con larghezza inusitata, anche movendo incontro a incertezze sulla grafia di certe voci (p. e. 'fascerò' e non 'fascierò', 'inviamo' e non 'inviiamo', 'facente' e non 'faciente') . Delle forme femminili e plurali dei nomi e degli aggettivi è stata data indicazione ogni volta che vi fosse una deviazione dalla regola generale. Per il plurale dei nomi terminanti in -cia e -gia ho creduto opportuno seguire la regola comunemente accolta nelle grammatiche, la quale esclude la i dal plurale di quei nomi se prima della sillaba finale vi sia una consonante (frangia, frange) e invece la richiede se vi sia una vocale (camicia, camicie). E ciò ho fatto senza eccezioni, benché sappia che ve ne sono delle ammissibili. L'evidente vantaggio pratico che deriva dall'adozione di questa norma me la fa apparire accettabile anche se essa costringe indebitamente alcune parole ad allinearsi con altre. Non è questa la sola legge che faccia cose simili. A proposito di vantaggio pratico e tornando a parlare ancora di quella i che appare e scompare e ad alcuni è accetta e ad altri dà fastidio, dirò che ho preferito la doppia i ad altri mezzi distintivi per i plurali di nomi come 'principio', 'presidio' e simili, o di nomi e aggettivi maschili come 'osservatorio', 'respiratorio' e simili; ho dunque suggerito di scrivere, per tali esempi, i plurali 'principii', 'presidii',' osservatorii', 'respiratorii'. Le parole piane non sono notate di accento; invece sono accentate quelle sdrucciole. Nelle une e nelle altre, dove la sillaba tonica ha e, o, l'accento grave è posto sulla e od o di suono aperto (èrba, mòlo) e quello acuto sulla e od o di suono chiuso (téla, róvo). L'accento sulle vocali a, i, u denota soltanto la tonicità della sillaba, non la qualità del suono, essendo quello dell'a sempre aperto e quello dell'i e dell'u sempre chiuso; ciò nonostante ho preferito segnare con l'accento acuto specialmente la i, il cui suono tipicamente stretto mi è parso troppo contrastante col suono largo, ordinariamente significato dall'accento grave. Per un motivo simile ho messo l'accento acuto, anche nel contesto, sulla e di parole come 'né', 'perché', 'sicché'; con ciò tuttavia non ho voluto dare una norma, ma soltanto proporre un esempio, che può non essere seguito. Ogni volta che se n'è presentata l'occasione, ho richiamato l'attenzione del lettore sui dittonghi mobili, per i quali la regola può essere facilmente enunciata, ma non altrettanto efficacemente difesa contro le erosioni e le più o meno inconsapevoli deviazioni dell'uso. Ho tenuto conto della quasi completa scomparsa di certe forme ('tignuola', 'tovagliuolo', ecc.) e della duplicità di certe altre ('giuoco' e 'gioco', 'tuorlo' e 'torlo', e simili); ho notato specialmente il comportamento di questi dittonghi nel corso delle flessioni e delle derivazioni, nelle quali l'uso comune più facilmente e più spesso commette errori. Anche qui, come nell'ultima edizione del vocabolario maggiore, i neologismi di vario genere, parole e accezioni, sono stati accolti in quantità notevole, dopo averne esaminato attentamente le qualità formali e del contenuto. Qui, inoltre, si troveranno accompagnate da un da ev. (cioè 'da evitarsi') le parole o le accezioni giustamente condannabili, o che per lo meno non meritano un lasciapassare incondizionato. Ho fatto parco uso di queste indicazioni perché so bene che censure di questo genere infastidiscono, senz'altro frutto, quelli che non hanno voglia di esprimersi con decorosa correttezza; ma ho voluto aiutare un po' quelli che questa voglia ce l'abbiano. Quando ho creduto che occorresse dare un più esplicito avvertimento, l'ho dato. Sono qui registrate e spiegate le parole e locuzioni latine o straniere che anche a persone di media cultura può facilmente capitare di udire o di leggere. Probabilmente le parole straniere parranno poche. E difatti non sono molte; ma nemmeno era molto lo spazio disponibile in questo vocabolario 'ridotto', il quale vorrei somigliasse a un modesto e buon albergo che si frequenta volentieri anche perché l'albergatore non ammucchia gente nei corridoi." GIOVANNI BALDUCCI, Giovi di Arezzo, 10 febbraio 1962.