Versi giovanili Fuori commercio
Francesco Rocchi

Versi giovanili

  • 1880
  • Note: In 8°, pp. 22. Per le nozze Carducci-Bevilacqua. Dedica: "All'uomo illustre Giosué Carducci. Bologna 10 Settembre 1880". "Mio Carissimo Professore, Amo dedicare a Lei, in questa felicità di nozze della sua gentilissima Bice, alcuni versi giovanili del mio buon padre. È un povero segno della molta esultanza di tutta la mia famiglia, la quale sa bene come da Lei si pregiano questi saggi d'ameni studi, venuti dall'autore prima ch'e' volgesse tutto l'animo alle severe discipline archeologiche. La parola, la voce quasi dell'estinto amico non può non tornarle cara, nella presente letizia, perché da molti è saputo sino a qual segno Ella ne ami ancora ed onori e pianga la memoria. Io sono e sarò sempre, tutto suo GINO ROCCHI". "Mio caro Gino, i versi, che Ella mi ha mostrato, di Francesco Rocchi, suo padre e mio sempre venerato e lacrimato amico, mi dimostrano, se pur ce ne fosse stato bisogno per chi conosceva gli studi di lui intorno ai rimatori del trecento e segnatamente a Fazio degli Uberti, quanta il dotto uomo avesse non pur conoscenza ma signoria dei segreti della lingua e arte dei nostri padri. I volgarizzamenti del capo XXXIV di Ezechiello e del II della Cantica attestano, parmi, che la scuola di quei gloriosi ed illustri che tradussero Omero Callimaco e Lucano non avrebbe di certo temuto il paragone, se non vogliam dire che avrebbe avuto facilmente il vantaggio, con quei correnti verseggiatori che più abondarono alla poesia biblica. Molto anche mi par notevole la versione del centone virgiliano della Proba Falconia (prima, credo, versione italiana), non tanto pel valore in sé di quella voluta fare versificazione cristiana con tasselli di poesia vera pagana, ma perché il verseggiamento italiano del Rocchi con tanti e riferimenti, rifacimenti e riproduzioni e rimembranze di endecasillabi ed emistichii e di frasi e parole di Dante, del Petrarca, del Tasso, del Caro rende con molta vivacità moderna il vecchio musaico della devota romana. I sonetti sono, per la contenenza e la sostanza, ciò che era la poesia allora ne' piccoli paesi: nozze, lauree, monacazioni: non se ne poteva uscire. Ma quanto ingegno e che espedienti! che trovate più d'una volta quale rinnovazione della famigliarità elegante o dell'ingegnosità famigliare del trecento! Il Rocchi avrebbe, continuando, potuto uscire da certi argomenti e far più: ma egli scriveva giovinetto, e poi fu tutto ne' suoi studi romani, fra i quali e pei quali trovò solo qualche ora per la solenne ed elegante e snella prosa italiana: onde non è il caso di scrupoleggiare su certe durezze o ineguaglianze che in cotesti versi si possono riscontrare": GIOSUE CARDUCCI a GINO ROCCHI, agosto 1880.