Poesie Fuori commercio
Giuseppe Chiarini

Poesie

Nuova edizione completa, con una lettera a Giosue Carducci

  • 1903
  • Note: In 16°, pp. XXXIV-386. Dedica: "A Giosue Carducci". Contiene: "A Giosue Carducci" (lettera che può servire di prefazione). Preludio - Libro primo: "Rime varie" - Libro secondo: "Storie" - Libro terzo: "Lacrymae" (1. Maggio e giugno MDCCCLXXIX - 2. Novembre e dicembre MDCCCLXXIX) - Libro quarto: "Traduzioni" (1. da Teocrito -2. da Q. Orazio Flacco - 3. da Percy Bysshe Shelley - 4. da William Wordsworth - 5. da Elisabeth Barret Browning - 6. da Alfred Tennyson - 7. da Robert Browning - 8. da Algernon Charles Swinburne) - Congedo". Lettera a Giosue Carducci: "(...) lo non credeva oramai di poter tornare in questi tardi anni a quelli studi che furono la passione della mia gioventù, ed ai quali debbo il beneficio inestimabile della nostra amicizia, cominciata quarantasette anni fa. Oramai ero rassegnato a finire i miei giorni fra le carte e i protocolli del Ministero. (...) - Ti ricordi? Negli ultimi dieci anni tu capitavi spesso a Roma; e quando venivi a trovarmi al Ministero, dove io stavo a lavorare tutti i giorni otto o dieci ore, mi dicevi scherzando: "Non so come fai a resistere. Tu ci ingrassi. Io diventerei matto". Veramente non ci ingrassavo; anzi nell'ultimo tempo ci guadagnai una (come ora dicono) nevrastenia, che m'ha tormentato per più di due anni (...) - Io riviveva nei belli anni della nostra gioventù quando, come tu scrivevi pur ieri, "non si pensava di farsi avanti e di farsi un posto; si pensava a fare e a scrivere: e la fortuna, se venne, venne inaspettata; e noi non la sollecitammo davvero". Mi tornavano alla mente i nostri dolci ritrovi con gli amici al caffè Vitali e al Caffè Galileo in Firenze; le nostre gite in Romagna, a Castagneto, a Pietrasanta, a Serravezza, i giorni passati insieme a Bologna in casa tua, a Lucca in casa del povero Bevilacqua, a Torino, a Firenze, a Livorno a Roma, in casa mia; le nostre conversazioni con Adriano Lemmi; le nostre discussioni per lettera ad ogni nuova poesia che tu mi mandavi, o mia ch'io mandavo a te; i miei entusiasmi per ciò che negli scritti tuoi mi pareva più bello, più nobile, più generoso; i miei sdegni per le ingiustizie cui talora fosti fatto segno, per i giudizi bestiali coi quali l'ignoranza presuntuosa e la partigianeria accolsero alcuni tuoi scritti. Ti rivedevo, durante tutto il corso della tua vita, sdegnoso degli applausi della folla, sdegnoso di tutte le arti che sogliono agevolare il successo ai cercatori di fama, più pronto a rifiutare gli onori che a desiderarli, contento e superbo della modesta condizione di vita nella quale volesti sempre rimanere. E risentivo tutta ad un tempo la soddisfazione grande, che avevo provata tante volte, seguendo d'anno in anno, di giorno in giorno, la tua gloriosa ascensione alle cime dell'arte, guidato dal solo pensiero della grandezza e della virtù della patria. (...). - Mi ricordavo che negli anni dal 1856 al 1859 avevo, di tanto in tanto, scarabocchiato dei sonetti, e li avevo fatti sentire a te, al Nencioni, al Gargani, al Targioni, che qualcuno me ne avevate lodato, mi rammentai come fui io, proprio io, l'autore di quei due sonetti contro il Lamartine e Victor Hugo, che una critica maligna attribuì a te; e come poi negli anni maturi feci ammenda di quel giovanile sacrilegio, studiando le opere di quei due poeti, contro i quali avevo blaterato senza conoscerli. (...) . - Alcuni dei poeti inglesi, che allora, grazie agli eccitamenti e ai consigli del Nencioni, studiavo con grande ardore, mi avean fatto rifiorire nella mente una vecchia idea, che nella lunga consuetudine con te si era un po' indebolita, che cioè gli argomenti alla poesia, e le forme di essa e il linguaggio, si potessero e dovessero anche cercare vicino a noi, nella nostra vita di tutti i giorni, anche fra le cose e le persone più umili. Un idillio del Groth tradotto dal Teza ribadì in me quell'idea. (...). - Tu sai quanto io ammiro le "Odi barbare", alcune delle quali mi paiono segnare il punto più alto al quale è arrivata la lirica nella letteratura italiana, per questa ragione sopra tutte, che alla grandezza e novità dei concepimenti, allo splendore delle immagini, all'altezza dei pensieri risponde in esse la perfetta convenienza della forma; la quale, derivata in gran parte dai classici, pare al tempo stesso antica e moderna. - Il Parini, il Monti, il Foscolo, il Leopardi aveano dedotto dalla poesia latina molto di forme costrutti ed espressioni nella italiana, ciascuno con intendimenti suoi particolari, secondo la natura del proprio ingegno, secondo le proprie idee artistiche. Sembrava difficile potere, in quella via, andare più innanzi. Tu ci sei andato: le tue poesie segnano, secondo me, l'estremo limite nella poesia di quel genere. Al di là c'è il falso e il barocco, come si potrebbe facilmente dimostrare esaminando alcune poesie del D'Annunzio. I tuoi discepoli veri, come il Pascoli, il Mazzoni, il Marradi, Severino Ferrari, che debbono essere convinti di ciò, vanno ciascuno per la sua strada, fedeli al tuo insegnamento: "Il poeta esprime sé stesso e i suoi convincimenti morali ed artistici più sincero, più schietto, più risoluto che può: il resto non è affar suo." (...): GIUSEPPE CHIARINI, Novilara, settembre 1902.