Memorie patrie d'una famiglia romagnola (Sabbattini) Fuori commercio

Memorie patrie d'una famiglia romagnola (Sabbattini)

con prefazione di Giovanni Pascoli

  • 1910
  • Note: In 8°, pp. 46, con tavole, fac-simile e ritratti. Contiene, fra l'altro. "Cenni biografici del dott. Claudio Sabattini scritti da Giosue Carducci e pubblicati nell'«Amico del Popolo» di Bologna, delli 26 novembre 1867". "(...) Del nome di chi è morto per la patria ogni città italiana s'ha da gloriare e deve proporlo imitabile esempio a' suoi figli. E Bologna dove il Sabattini lasciò tanta estimazione e tanto onore di sé, può per una parte tenersi come patria dell'ingegno e dell'animo suo. - Vero è che, quando egli, appena diciottenne, veniva a questa università, il cuore suo e la mente si erano già aperti alla più nobile e sublime delle discipline, la disciplina della libertà e del sacrificio. Questo giovanetto era già un cospiratore: che anzi i reggitori pontificii di Rimini lo accusavano 'corruttore della gioventù'. Intorno a che due cose sono da notare: la nobiltà della natura italiana nella quale l'odio alla mala signoria previene gli anni, tanto che quella età che più si disserra nella vita impari a raccogliersi nelle tenebre del segreto deliberato, e la impudenza dei preti, corruttori universali, che ov'è candore e splendore veggono macchie. - Rumoreggiava intanto il fortunoso anno 1859 e il giovane cospiratore divenne milite regio. (...)": ENOTRIO ROMANO. "Questi ricordi pubblica un uomo vivo e vegeto, che tutti in Romagna conoscono, e additano l'uno all'altro o salutano familiarmente: uomo diritto d'anima e di persona, che in sé mostra riunite le più belle qualità della nostra gente, la gravità quando e dove occorre, l'ilarità dove e quando bisogna, non mai a maschera la prima, non mai a beffe la seconda, e parole poche e buone, e cuore aperto, e uscio di casa chiuso bensì ma col saliscendi. Tale è Decio, e non importa aggiungere Sabattini, di Sogliano al Rubicone. Decio, senz'altro: non è questo, romanamente, nome di gente e non di persona? E il suo fratello, ucciso nel rude assalto del castello di Monterotondo, aveva anch'esso un nome di gente romana: Claudio. E gli altri, se non romani, portavano nomi eroici tuttavia e storici: Ettore, Aristide. E un altro, Esule. (...) Eroi della poesia e della storia, che vissero e morirono per la patria (...) - Decio dunque dà a stampare questi ricordi di famiglia, ricordi e documenti suoi, d'un, si può dire, breve spazio qual è la nostra vita. Eppure qual immenso spazio di storia occupano essi! Ché vanno dalla rivoluzione carbonara sino alle porte di Roma. Nemmeno un mezzo secolo; ma gli anni, in questa creazione della terza Italia, contano, come i giorni biblici, ben più che per anni; e sono addirittura "epoche". Ora questa famiglia romagnola ha il suo nome e il suo segno in ciascuna di queste epoche, nel ventuno, nel trentuno, nel quarantotto, nel quarantanove, nel cinquantanove, nel sessanta, nel sessantasei, nel sessantasette. - Dieci anni dopo, come era scritto, fu la volta dei figli. Francesco e Claudio sono soldati (si diceva ancora 'sardi'!) italiani, nella vindice guerra d'indipendenza. E viene il sessanta, l'anno eroico favoloso argonautico. Claudio, stretto al suo reggimento, non può essere dei Mille; ma è della seconda spedizione, insieme a Francesco. Nell'infausto sessantasei Bonaventura ne ha tre, dei figli, nelle schiere, combattenti: Claudio e Aristide nell'esercito azzurro, Decio nell'esercito rosso. E l'anno dopo due dei nepoti del bravo frate, che gridava "Viva Pio Nono!" contro i croati di Nugent, sono, come ho detto, alle porte di Roma, tentandole col generale della Repubblica, a nome del diritto d'Italia. E Claudio cade a Monterotondo e Decio accorre a raccoglierne l'ultimo respiro e sospiro: "A Roma!" - Mio buon amico Decio, con quel sangue e in quel supremo amplesso termina la gloriosa storia del nostro risorgimento, qual si legge a rapide note rossa di sangue, nelle memorie della tua famiglia. (...) GIOVANNI PASCOLI, Gennaio 1910".