LEZIONI DI PUBBLICITÀ Fuori commercio
Arturo Gazzoni

LEZIONI DI PUBBLICITÀ

Prima edizione

  • 1943
  • Note: Prefazione di Massimo Bontempelli: "Mio caro Gazzoni, quando (e debbono essere passati molti mesi, perché erano i giorni che tu, tutto bianco come un giglio sotto la vampa del sole e in faccia all'azzurro del mare, andavi animando di arguzie scintillanti le pallide conversazioni mondane del nostro Lido) m'hai fatto leggere le prime bozze delle tue lezioni di arte (o scienza, o tecnica) della pubblicità, io mi ero divertito e interessato stranamente a quella disciplina tuta nuova per me. Ma da questo a farmi il presentatore pubblico di quegli scritti, ci corre. Hai troppa fiducia in me. Non basta aver letto con grande piacere le tue serrate e colorite pagine, per essermi fatta una competenza. E una prefazione non avrebbe l'obbligo di essere competente? Niente prefazione, dunque. Non ti scrivo che per dirti che, durante la rapida lettura, qua e là mi spuntavano desiderii di chiarimenti, ombre di dubbi, qualche volta tentazione di confutarti su un particolare, spesso l'impeto di applaudirti: insomma avrei voluto dialogare un po' con te intorno a questa materia, per me nuova e non del tutto afferrabile. Ma tu oramai avevi abbandonato il Lido, che con la tua partenza s'era rifatto pallido. Nemmeno io ci son tornato più, e da allora non t'ho più veduto, perché pare che Venezia e Bologna siano più lontane di quello che non credano i geografi, gente approssimativa. Ma poiché in questo momento, mediante il vecchio e penoso artificio della scrittura, sto in qualche modo conversando con te, a qualche spunto dei fuggevoli pensamenti suscitati in me dalle tue lezioni voglio pure accennarti. Sfoglio le tue pagine, vedo segni che durante la lettura andavo facendo nei margini, e il più delle volte non riesco a ricordarmi perché li avessi fatti. Oh eccone uno nella terza lezione. Tu spieghi che la pubblicità - come era detto anche nel programma della lezione stessa - "deve non solo colpire ma persuadere". Sì, ricordo perché quel "persuadere" m'aveva fermato. La tua affermazione sembra definire e compendiare tutto il procedimento dell'opera pubblicitaria, e dividerlo in due momenti. Nel primo momento l'uomo - il solito uomo della strada - è colpito; cioè sorpreso da una immagine, o da un motto; immagine e motto che naturalmente si dirigono e appuntano a un nome: il nome del prodotto raccomandato (o, se ti pare più ortodosso, segnalato). Ma questo, tu dici, non basta. Alla sorpresa l'uomo si abitua facilmente. Occorre mantenerlo in quella condizione, se anche non di autentico interessamento, diciamo di "collegamento" con il nome che gli hai imperiosamente gridato. Questa seconda parte non è persuasione. È ossessione. La persuasione nasce da un ragionamento, o da una esperienza. Ora, credo pacifico che la logica non debba né possa far parte della scienza pubblicitaria: la logica richiede nel paziente uno stato, appunto, di pazienza, di accettazione dello starti a sentire; invece quel primo periodo dell'esercizio di cui parliamo non può operare che sopra soggetti i quali cercano piuttosto di sfuggire che non di sottomettersi. Occorre dunque il periodo ossessivo, la moltiplicazione e ripetizione di quel nome sotto le forme più impensate, nei momenti più imprevedibili. Quel nome deve diventare un incubo. Quando questo si è fatto intollerabile, per liberarsene il poveruomo non ha che un mezzo: correre a comperare, per la prima volta, l'oggetto di cui tu gli hai con tanta prepotenza insegnato il nome. La persuasione comincia qui. E questa non è più oggetto di pubblicità: non può nascere che dall'esperimento personale. Se l'oggetto gli è "andato bene", il poveruomo continuerà a comperarlo; se no, oramai che col primo acquisto s'è liberato dell'ossessione, non ci penserà più. Ma al produttore interessa la continuità del collegamento. Questa non è data, come tu ben dici, che dalla "persuasione", ma, io ti completo, questa non può derivare che dalla bontà dell'oggetto, cioè fa parte non della pubblicità ma della fabbricazione che precede la pubblicità. Il circolo si chiude. Sai che cos'è per me il più bello di tutto questo? Il bello è che questo gioco di pubblicità - che a prima vista può sembrare una cosa arida - si risolve tutto in un passaggio dall'azione intuitiva (per impressione) all'azione convinta (per esperienza); cioè si ha una piena rappresentazione del procedimento umano dallo stato d'infanzia allo stato virile. Di questo genere, figurati, erano le cose ch'io venivo pensando durante la lettura del tuo corso. Cose che, se fossero venute fuori, come dicevo, dialogando tra noi, si sarebbero scontrate con la tua inesauribile arguzia e ci saremmo divertiti davvero. A scriverle, m'accorgo che non sanno proprio di nulla; perciò smetto, certo oramai che ti sarai convinto che non mi manca la buona volontà, ma davvero per farti la prefazione non saprei nemmeno da che parte cominciare. Perdonami: il libro starà bene anche senza. Tanto, le prefazioni non le legge nessuno. Augurii al libro e cari saluti a te." MASSIMO BONTEMPELLI, Venezia, febbraio 1943.