LE MIE MONTAGNE Fuori commercio
Walter Bonatti

LE MIE MONTAGNE

Fotografie dell'Autore

Prima edizione

  • 1961
  • Note: "In grande formato, con illustrazioni in nero e a colori e 40 tavole fuori testo, legato alla bodoniana". Impaginazione di Albe Steiner. Dedica: "Alle mie montagne, infinitamente grato per il bene interiore che nella giovinezza ho potuto ricavare dalla loro severa scuola". "Montagne" collana diretta da Walter Bonatti. IL RE DEL MONTE BIANCO "Le mie montagne" viste da Massimo Mila "Povero insetto, fratello mio di sventura in un luogo di morte, come mi sento simile a te in tutto! La tua tragedia è la mia, ciò che io vado cercando attraverso il superamento del Dru equivale all'ebbrezza che ti ha trasportato fin quassù». Giunto all'invidiabile età di 30 anni, quest'uomo che ogni tanto ci fa aspettare il giornale o accendere la radio con trepidazione per sapere che cosa diavolo ha combinato, e se anche questa volta è riuscito a cavarsela, raccoglie i suoi ricordi di montagna in un bel volume, arricchito di fotografie spesso sensazionali. La materia del libro è fuori discussione. Pur diffidando delle asserzioni categoriche, credo si possa affermare che quest'ometto dal viso vivace di ragazzo, dal fisico ben proporzionato, ma non mostruosamente forzuto, è oggi l'alpinista più completo del mondo. La conquista di un 8000 (il Gasherbrum), il contributo decisivo dato alla vittoria sul K2 con l'allucinante esperienza di una notte alla bella stella a 8000 metri, le più grandiose vie delle Alpi, sul granito del Monte Bianco come sul calcare delle Dolomiti, d'estate e d'inverno, talvolta solo, come sull'immane pilastro del Dru, la prima ascen-sione d'uno dei più ribelli picchi delle Ande, il Rondoy, costituiscono una carriera alpinistica senza eguali. Le stesse sconfitte aggiungono alla statura morale dello scalatore: il Cerro Torre, soffiato alla garibaldina dalla spericolata bravura di Maestri e dall'eroico sacrificio di Toni Egger, il pilone centrale del Monte Bianco, la cui tragedia è ancor viva nel ricordo di tutti. In fondo, ormai, per questo uomo dalla vitalità indomabile, che si va a mettere nelle trappole più mortali e poi rifiuta di morire, e riporta a casa miracolosamente la pelle, e quella del compagno affidato alla sua responsabilità, là dove soccombe stroncato anche un fisico fenomenale come quello di Oggioni, per quest'uomo il problema della continuazione alpinistica sta nella scoperta d'altre montagne, altri itinerari di pari levatura a quelli sui quali è finora passato vittorioso. Problema che, fortunatamente, egli non si pone, poiché nella sua sana concezione classica dell'alpinismo, Bonatti appare come un innamorato della montagna, e non un collezionista arrabbiato di 'prime' ai margini dell'impossibile. Ciò gli ha permesso, per esempio, di lasciare un'impronta memorabile anche in quella meno sensazionale attività di montagna che è lo sci-alpinismo, con la traversata dell'intera catena delle Alpi in 66 giorni: 1.800 km. di percorso con 73 di dislivello in salita. A questo cavaliere del 6° grado tutti gli alpinisti saranno grati per il rispetto con cui parla di montagne e salite, non diciamo modeste, ma classiche, alla portata di buoni scalatori che pur non siano delle eccezioni, né fenomeni da baraccone. Di prim'ordine dunque la materia, il libro com'è? Tutte le volte che un grande sportivo pubblica un libro sulla propria attività, subito negli ambienti bene informati comincia a girare la voce che gliel'ha scritto il tale o il tal altro. A noi non importa niente sapere se qualcuno ha ripulito stilisticamente le pagine di Bonatti (che del resto non è un incolto, e scrivere un libro non è poi un'impresa così difficile, quando si hanno delle cose da dire). A noi basta il fatto che dal libro l'uomo vien fuori. Chi crede che questi assi del 6° grado siano dei bruti insensibili, dei pacchetti di muscoli unicamente capaci di issarsi su per assurde quanto monotone successioni di strapiombi, camini, placche, e fessure, avrà modo di ricredersi conoscendo in Bonatti un bell'esemplare di alpinista 'demoniaco'. Alla base delle sue imprese c'è spesso tutto un tumulto di sentimenti e di passioni, la vita privata che ribolle in vortici di malcontento, d'amarezza, di delusione, e da tutto questo rimescolio si genera un bisogno irresistibile d'evasione che a un certo punto, come una miscela esplosiva, proietta il nostro uomo su, a forza di muscoli, dove tutte le leggi della gravità e del buon senso vengono infrante. Si veda tutto il nodo di risentimenti che, prendendo le mosse dalla terribile notte del K2, lo porta a vincere da solo, in sei giorni di lotta all'ultimo sangue, il pilastro Ovest del Dru. Chiave di volta, un singolare pellegrinaggio solitario al Picco Eccles, due notti passate volutamente all'aperto, una a 4.000 metri, nel cuore del Monte Bianco, ad attendere in quel silenzio lo scioglimento d'una grave crisi interiore. Là si forma la determinazione, che poi più nessun ostacolo, più nessuna sconfitta parziale varrà ad arrestare. Ed al momento di passare all'azione, il gesto incredibile di tenerezza per un'incauta farfalla perduta sul ghiacciaio, raccolta delicatamente e portata in salvo nel tepore del rifugio. «Povero insetto, fratello mio di sventura in un luogo di morte, come mi sento simile a te in tutto! La tua tragedia è la mia, ciò che io vado cercando attraverso il superamento del Dru equivale all'ebbrezza che ti ha trasportato fin quassù»." MASSIMO MILA da «Stasera» di Milano, riportato in «Zanichelli Scuola» n. 18, maggio 1962.