La reina di Scotia Fuori commercio
Federico Della Valle

La reina di Scotia

Tragedia, a cura di Benedetto Croce

A cura di Benedetto Croce
  • 1930
  • Note: In 16°, pp. 142. In copertina: Federigo Della Valle. Dalla Prefazione: "Il Della Valle era nato in Asti intorno al 1565, o forse qualche anno innanzi, e poetò alla corte dei Savoia, per la quale nel 1585 compose alcune ottave nella venuta di Spagna della infante Caterina d'Austria sposa a Carlo Emanuele I; nel 1589 stese un "Ragionamento" per sostenere il diritto di questo principe alla successione sul trono di Francia, dopo l'uccisione di Enrico III; nel 1597 fece rappresentare una sua tragedia, l'"Adelonda di Frigia"; e più tardi dettò le parole di qualche cantata per mascherata. - Negli ultimi suoi anni era a Milano, dove nel 1627 recitava un'orazione nelle esequie di Filippo III di Spagna e un'altra per quelle della duchessa di Feria, donna Francesca di Cordova Cardona, e nel 1628 metteva in istampa le tragedie della sua maturità, composte anch'esse probabilmente al tempo in cui era alla corte dei Savoia, la "Judith" e l'"Esther" riunite in un sol volume, e a parte la "Reina di Scotia", dedicata al papa Urbano VIII. - Morì nello stesso anno, come si desume dal fatto che nei primi giorni del 1629 un suo nipote, Federico Parona, dava fuori postuma, dedicandola al duca Carlo Emanuele, la giovanile "Adelonda di Frigia", che è una imitazione, non priva di vivacità, della "Ifigenia in Tauride"". "Questa tragedia di un poeta fino a poco tempo fa sconosciuto; nativo della città che due secoli dopo diede all'Italia l'Alfieri e vissuto in gran parte della vita alla Corte di Savoia, è per la sua somma rarità e per l'interesse storico la più notevole delle prime opere ispirate alla figura della tragica regina di Scozia. Si rispecchiano in essa la severa visione e il pio sentimento che di Maria Stuarda ebbero i cattolici contemporanei, commossi dai travagli e patimenti e dalla fine del martirio, dall'alto significato etico di questa sua morte sul palco, nella quale la sua amorosa bellezza perì, e insieme rifulse come non mai. Una larga vena d'umanità corre in questa opera, che va oltre il motivo religioso e quello poetico, e ne forma la sua poesia; opera schietta, semplice, affettuosa, con molti tratti elevati, gentili e teneri, onde merita d'esser posta, nel quadro della letteratura del Seicento, a quel primo piano di prospettiva, che a torto si assegna per pigrizia di tradizione a opere timide e vuote o frigidamente letterarie e insulse.": BENEDETTO CROCE.