LA LETTURA. ANTOLOGIA CON LETTURE EPICHE Fuori commercio
Italo Calvino Giambattista Salinari

LA LETTURA. ANTOLOGIA CON LETTURE EPICHE

per la scuola media

Prima edizione

  • 1970
  • Note: Con la collaborazione di Maria D'Angiolini, Melina Insolera, Mietta Penati, Isa Violante. Grafica di Duilio Leonardi. Contiene la sezione "La poesia epica", a cura di G.B. Salinari. Traduzioni di Monti, Pindemonte, Caro. "L'antologia zanichelliana per la Scuola media curata da Italo Calvino e da Giambattista Salinari viene ora arricchita da una scelta di letture epiche. Il curatore di questa scelta è G.B. Salinari, che già a suo tempo preparò per la stessa casa il commento dell'Iliade e dell'Odissea che la Scuola così benevolmente accolse. Il primo volume contiene passi di Omero e Virgilio; il secondo contiene tutta l'epica medievale europea e precisamente: passi della "Canzone di Rolando", del ciclo bretone, dei Nibelunghi, dell'epica spagnola e russa; il terzo volume contiene l'epica italiana con passi che vanno da Dante all'Ariosto e al Tasso, e a questi passi si è creduto opportuno aggiungere qualche episodio del poema portoghese "I Lusiadi", che tanta affinità ha con la nostra epica. La scelta nel suo insieme è abbastanza ricca, ma di proposito è stata limitata e proporzionata alle possibilità di lettura che gli alunni e i professori effettivamente hanno nelle nostre scuole. La massima preoccupazione del curatore, invece, è stata quella di dare, prima di tutto, le informazioni necessarie non solo per quella parte di epica che è stata presentata, ma in genere, per quel che riguarda l'antichità classica, di offrire un quadro il più possibile sintetico anche dell'epica orientale e, per quel che riguarda il medio evo, di non trascurare accenni all'epica popolare dei paesi europei nordici. (...) L'aspetto più caratteristico di questa antologia consiste nel fatto che un particolare impegno è stato posto per chiarire e indicare con la massima concisione il rapporto dei passi e delle singole scelte con l'opera da cui sono stati tratti, e i rapporti di quest'ultima con i tempi in cui fu composta. È sembrato infatti indispensabile per la comprensione ampia e approfondita delle letture epiche mettere in luce questo rapporto coi tempi, che serve non solo per dare ai giovani il senso della storia, ma anche per liberare le loro menti dall'angustia di concetti, di visioni, di giudizi troppo legati al proprio tempo e al proprio luogo. Nulla come la lettura di certi passi epici è utile ad educare gradatamente alla comprensione di tutti i popoli e di tutti i tempi per meglio comprendere, nei suoi aspetti positivi e negativi, il nostro popolo, il nostro tempo e noi stessi. Per i poemi omerico-virgiliani si sono scelte le traduzioni di Monti, Pindemonte, Caro, preferite ad altre più moderne. Gli autori hanno infatti ritenuto che le classiche traduzioni di Monti, Pindemonte e Caro, pur risentendo com'è ovvio del clima culturale in cui vennero elaborate, siano ancor oggi le più rappresentative del modo in cui la cultura italiana ha accolto e fatto rivivere in sé l'epica greco-romana." Da «Zanichelli Scuola» n. 41, aprile 1970. "Perché Monti Pindemonte Caro Se abbiamo preferito l'Iliade del Monti, l'Odissea del Pindemonte e l'Eneide di Annibal Caro, non è stato per evitare il problema immaginandoci d'essere ancora al tempo in cui esso non si poneva neppure. Ogni nuova traduzione rappresenta un modo d'intendere la fedeltà al testo, un modo d'intendere la classicità e d'opporsi al modo d'intenderla delle generazioni passate. Scegliere una traduzione vuol dire scegliere una "data" in cui situarci per guardare a Omero o a Virgilio, cioè un orizzonte letterario e storico, una chiave di lettura, un inserimento del poema classico in una ideale biblioteca moderna. Oggi siamo portati a pensare che la versione italiana d'un classico è intanto più "autentica" in quanto è più libera dai modelli letterari della tradizione italiana da cui è nata, senza altro modello che l'originale con tutta la sua distanza millenaria; ma ogni nuovo Omero o Virgilio che al suo apparire ci dà il senso d'un rapporto diretto con l'originale, privo di mediazioni culturali, in un breve giro d'anni rivela d'appartenere anch'esso a un gusto e a un'epoca, di far parte innanzitutto della nostra storia, e d'avere in ciò il suo non ultimo sapore e valore. Il Virgilio visto dal classicismo cinquecentesco e l'Omero visto dal neoclassicismo tra Settecento e Ottocento sono certo per noi i più lontani da quell'idea di "autenticità", carichi come sono di tradizione, la tradizione che stava dietro alla loro versificazione e la tradizione che si è depositata loro addosso per essere stati letti e presi a modello da generazioni e generazioni. La scelta che dovevamo fare si poneva dunque in questi termini: o scegliere tra le traduzioni che presupponiamo essere le più vergini e trasparenti ma su cui pure presto ci appariranno i segni delle nostre convenzioni stilistiche, forse legate solo a un labile momento della storia del gusto; o invece tenerci alle versioni che ci danno, oltre a una determinata lettura dei classici, la storia di come i classici sono stati ricevuti e inseriti nella nostra tradizione, cioè un grosso pezzo di storia della cultura (e della scuola) italiana. Abbiamo optato per la seconda delle due alternative, cioè per le tre traduzioni che hanno, in vario grado, operato più lungamente nella storia degli italiani, tre libri che sono stati tra i primi nella biblioteca dell'Italia risorgimentale e post-unitaria, senza i quali tanta parte del linguaggio che gli italiani hanno scritto e parlato e declamato e cantato sarebbe incomprensibile. Ma non c'è solo questa ragione storica. Chiediamoci perché diamo da leggere oggi ai ragazzi i poemi epici. Chiediamoci cosa comunicano loro oggi i poemi. Primo, un insieme di miti come prima organizzazione logico-fantastica dell'universo; secondo, un insieme di vicende e personaggi che per essere entrati a far parte del sistema di segni di molti popoli, ci servono come elementi di un comune linguaggio metaforico; terzo, un insieme di valori morali nei quali possiamo in qualche misura riconoscerci (comunque situarci in rapporto ad essi); quarto, un respiro di vita collettiva e di senso della totalità. Tutto questo, certamente, ma anche un modo d'organizzare il discorso diverso da quello consueto, per cui un significato di piena immediatezza richiede a ogni verso, per essere raggiunto, quel sovrappiù di tensione che è la decifrazione d'un codice. Insomma, ciò che la lettura d'un poema epico mette in particolare evidenza non è poi altro che il meccanismo di qualsiasi lettura. E l'italiano della tradizione poetica - questa lingua che è esistita solo nei libri e le cui colpe sono troppo note a tutti perché valga la pena ricordarle qui, - ha la prerogativa di mettere questo meccanismo ancor più in evidenza, specie al nostro occhio d'oggi: in quanto lo spessore del testo scritto è continuamente frapposto tra il lettore e la materia narrata, cosicché il recupero della comunicazione poetica avviene sempre al di là d'un ostacolo da superare. È per questo che imparare a leggere le traduzioni classiciste dei classici ha oggi un senso niente affatto classicistico, dato il distacco storico con cui vediamo quel tipo di versificazione e di linguaggio: perché insieme alla prima lettura delle imprese di Ettore e Ulisse e Enea si dà la prima esperienza di cos'è un linguaggio letterario come istituzione. In rapporto a questo primo incontro si potranno situare le sorprese di successive riscoperte di Omero e Virgilio, nel testo o nelle traduzioni più moderne, illuminazioni che forse non si avrebbero se non si fosse partiti di là. Ma ora non vorremmo estrapolare regole generali dalla nostra autobiografia di lettori..." ITALO CALVINO, da «Zanichelli Scuola» n. 41, aprile 1970, pp. 2-3.