L'Ave Fuori commercio
Adolfo Albertazzi

L'Ave

Romanzo

  • 1896
  • Note: In 16° piccolo, pp. 495. "L"Ave" è una riprova, una riconferma, che l'Albertazzi è veramente un giovine d'ingegno, uno degli allievi che più fanno onore alla scuola di Bologna - ossia al Carducci -, uno scrittore destinato a un avvenire di gloria, che sconfinerà, forse, dall'Italia. Non mi pare di esagerare: in ogni modo auguro, di cuore, questo e meglio al valentissimo discepolo del Maestro. - L'"Ave" l'ho letta di un fiato. Pare a me che l'Albertazzi abbia il segreto di avvinghiare la mente del lettore, per trascinarlo irresistibilmente. Ciò per la forma e per la sostanza; le quali poi sono la medesima cosa - credo - o due in una. - La lingua è viva, italianissima: il periodare, logicamente facile. Forse, però, quanto a scioltezza, a facilità, a schietta semplicissima naturalezza, l'arte dello scrittore (o io m'inganno) non ha raggiunto ancora l'ultimo grado della perfezione. Ciò non dipende, per altro, da insufficienti attitudini dello scrittore; nasce dal gran fatto che lo studio e l'arte consumano la vita dello scrittore. Non mi esprimo bene? Hai ragione. Ti significhi meglio il mio concetto il notissimo: "Breve è la vita, lunga l'arte". - Bello, importante, di attualità (come dicono) il soggetto, studiato - parmi - con coscienza. L'uomo, sfiduciato dalla ragione, che s'abbandona al sentimento: l'uomo che, cresciuto solo nella forza incosciente del sentimento, arriva ad affermarsi nella disciplina della ragione. Dramma umanamente eterno: tema che a me pare uno de' più alti, de' più profondi, de' più difficili, de' più meritevoli di considerazione e di studio da parte di un ingegno intero, nobile, forte. - L'Albertazzi, pare a me, è riuscito egregiamente a dissimulare la tesi. Non si studia - parmi - a dimostrare nessuna tesi; narra, descrive, analizza - parco, preciso, geniale - il trasformarsi di due animi, di due menti, di due coscienze. Basterebbe la scelta di un tale argomento e la severità della trattazione per farci persuasi che abbiamo a che fare, non con uno dei soliti romanzatori italiani o non italiani; ma con uno scrittore che dà a sperare di assurgere - o prima o poi - ad altezze superiori. - Ma io, dunque, ho scoperto un capolavoro dei primi, e tu - cavaliere editore - hai trovato (ciò che io ti augurerei bene) una miniera d'oro. Quest'"Ave" è un romanzo, un'opera d'arte perfetta? Non mi pare di aver detto questo. Qualche mio desiderio, quanto alla forma, l'ho espresso sopra. Quanto alla sostanza, dico che il libro ha, forse, qualche sproporzione nelle parti in cui è diviso; ha qualche pagina di analisi che a me non parrebbe pessima: sopra tutto, poi, ci sarebbe questo difetto: indovino e sento, non intendo e non veggo psicologicamente dimostrata, la conversione di don Saverio al razionalismo, del De Silva alla fede e al cattolicesimo. - Questo, in fretta, il giudizio - modesto e amichevole - che hai voluto chiedermi.": UGO BRILLI a CESARE ZANICHELLI, Lucca, 22 maggio 1896.