Il ritorno di Giosuè Carducci Fuori commercio
Luigi Federzoni

Il ritorno di Giosuè Carducci

(Conferenza)

  • 1932
  • Note: In 8°, pp. 32. "(...) A Bologna doveva cominciare la vera lotta. Qui egli fu preso nella realtà della vita e trovò la propria personalità e la propria vocazione. A Terenzio Mamiani, meglio che per i graziosi "Idilli" di gesso dipinto a marmo greco e per il paziente intarsio conciliativo di concetti altrui, che formò la mediocre filosofia del colto gentiluomo pesarese, siamo grati per il coraggio presago con cui, ministro dell'istruzione sotto Cavour, osò nel 1860 chiamare alla cattedra di letteratura italiana dell'Università di Bologna quel giovane oscuro di venticinque anni, procurando così alla scuola nazionale il suo più insigne maestro e a un fortissimo spirito italiano la possibilità di affermarsi e di valere. Questa nostra città era il più fervido crogiuolo delle passioni avvivate e ingigantite dall'instaurazione del regime unitario. La sua importanza di centro politico e culturale superava di molto il suo modesto prestigio di piccola capitale parvenue della regione resuscitata da Luigi Carlo Farini su le rovine delle Legazioni e dei Ducati. (...). - Di qui il sagace e intraprendente luogotenente di Cavour, dando la mano al Ricasoli, aveva tessuto la tela rivoluzionaria delle annessioni. Qui un patriziato che aveva udito da tempo l'appello del Risorgimento, offrendo a questo un Pietramellara, uno Zambeccari, un Tanari, un Simonetti, volontari e cospiratori di primo piano; qui una borghesia operosa, colta, patriottica, benché già divisa nei bianchi moderati di Minghetti e negli azzurri progressisti di Casarini, e pronta a fornire ai partiti nascenti uno stato maggiore di parlamentari e di amministratori; qui una folta minoranza di artigiani intelligenti ed entusiasti, che, seguendo un più ardito manipolo di professori e di avvocati dietro la scia mazziniana e garibaldina, sembrava preannunziare il futuro ingresso delle masse lavoratrici, come concorso sperato o temuto di nuove forze operanti, sul terreno della politica nazionale. Ma il focolare della vita intellettuale e morale di Bologna era, naturalmente, lo Studio, dove si plasmavano secondo un indirizzo di rinnovamento scientifico e civile le menti dei giovani, convergenti sopra tutto dalla Romagna e dalle Marche. (...). - Fuori dell'Università, tuttavia, faceva molto caldo. Erano gli anni duri del disinganno; gli anni, per intenderci, dei 'Decennalia'. (...). - Il ragazzo che, sulle orme del conterraneo Labindo, aveva imparato ad amare e imitare Orazio; il capo-pattuglia degli 'Amici Pedanti' che, nella sua superba xenofobia, aveva proclamato di non voler leggere se non Dante, Petrarca, i cinquecentisti, Monti, Foscolo e Leopardi, ha mutato i connotati letterari. Egli ha spalancato le finestre della biblioteca, e con le folate turbinose dell'aria esterna sono penetrati nei freddi silenzi gli echi di voci non prima udite: Vittore Hugo, Augusto Barbier, Arrigo Heine. Dall'ombra e dalla solitudine è balzato un poeta nuovo, anzi un uomo nuovo.": LUIGI FEDERZONI.