Fisica ad uso dei licei Fuori commercio
Enrico Fermi Nobel

Fisica ad uso dei licei

Volume I

  • 1929
  • Note: In 8°, rilegato alla bodoniana. Volume primo, pp. 240. Volume secondo, pp. 244. "Il prof. Enrico Fermi, che Lei ben conosce, ha avuto proposte da una casa editrice per un libro scolastico di Fisica per le scuole medie. Avendomi parlato di ciò, io l'ho incoraggiato in massima, ma gli ho fatto notare che avendo già relazioni colla casa Zanichelli, gli conveniva affidare a questa anche il libro scolastico; che sarebbe un riguardo doveroso e in pari tempo si troverebbe meglio - Il Fermi ha annuito. Lei sa che egli è il più eminente fisico della giovane generazione; è probabile che il suo nome e la sua influenza vadano presto crescendo, sicché mi sembra che non dovrebbe, in alcun modo, lasciare sfuggire il suo libro (...).": FEDERIGO ENRQUES all'ing. AGILULFO RICCI, Roma, 1 marzo 1928. "Quando ci eravamo fidanzati, Enrico, preoccupato delle nuove responsabilità, aveva deciso di scrivere un libro per i licei e aumentar così le entrate della futura famiglia. "Se vuoi, te lo detterò nei ritagli di tempo" mi disse. "Tu potrai copiarlo a macchina e aiutarmi a preparar le figure." Accettai con entusiasmo e ci mettemmo subito all'opera. Riprendemmo il lavoro appena installati nel nostro appartamento, al ritorno dal viaggio di nozze. Ben presto però il mio ruolo di segretaria si mutò in quello di studentessa zuccona. A Enrico tutto sembrava 'chiaro', 'ovvio' o 'evidente'. Non a me. Mi dettava: "È evidente che in un moto non uniformemente accelerato il rapporto fra la velocità e il tempo non resta costante". Senza alzare gli occhi dal foglio su cui scribacchiavo in fretta per tener dietro al dettato, dicevo: "Non è evidente". "Lo è per chi vuole usare il cervello." "Non per me." Come era possibile risolvere dispute di tal genere? Una volta, per mio suggerimento, chiamammo al telefono mia sorella Paola. Ella aveva appena superato l'esame di Stato e ottenuta la licenza liceale. Era ben vero che non le piacevano le scienze; d'altra parte Enrico non poteva pretendere di scrivere in libro esclusivamente per studenti col bernoccolo scientifico. Delle spiegazioni di fisica che le leggemmo al telefono Paola non capì nulla. Da allora in poi essa fu l'arbitro delle nostre liti sulla chiarezza dell'esposizione e, in genere, il suo verdetto era in mio favore. Scrivere un testo in due volumi è in ogni caso una faccenda lunga. Se poi la segretaria interrompe continuamente il dettato per contestare ogni frase, il libro non finisce più. Vi lavorammo un paio d'anni, portandocelo dietro in villeggiatura; in montagna prima, poi alla villa dei miei zii, nella camera di torre che dominava la valle dell'Arno e che ci era riservata durante tutte le nostre permanenze alla villa, c'era un piccolo tavolo, appena sufficiente per posarvi il manoscritto. Per fortuna Enrico non aveva bisogno di libri da consultare; gli bastavano la memoria e la mente. (...) Nell'autunno del 1929, alla villa, Enrico ricevette il primo pacco di frontespizi del libro di fisica. Il tavolino della nostra camera era troppo piccolo per quella gran mole di pagine. Le portammo sull'ampio tavolo della stanza d'andito, sul quale, fino a pochi anni prima, erano schierati tutte le sere i candelieri che gli ospiti si portavano in camera da letto: candelieri alti, di bronzo; candelieri bassi, di ferro smaltato; candelieri d'argento, a un braccio, a due, a tre bracci. (...) Su quel tavolo dunque, Enrico, armato di uno stampino, si diede a firmare frontespizi alla luce del fioco lumino elettrico istallato di recente. Con ritmo baldo e regolare lo stampino batteva il cuscinetto dell'inchiostro e poi il frontespizio. Io voltavo le pagine firmate e le contavo ad alta voce, con gioia: ognuna di esse valeva tre lire e venti centesimi. Dunque il libro, scritto in prosa mediocre e non un capolavoro, servì al suo scopo, di aumentare cioè le entrate della famiglia per molti anni." Da LAURA FERMI, "Atomi in famiglia", Milano, Mondadori, 1954.