RIME Fuori commercio
Giosue Carducci Nobel

RIME

Ristampa anastatica

  • 1957
  • Note: "In occasione del cinquantenario della morte di Giosuè Carducci, Zanichelli pubblicò una stampa anastatica di 500 esemplari dell'edizione originale delle "Rime" di San Miniato del 1857 - Volumetto di pag. 96, più 8 n.n. sul principio; misura centimetri 15x10,3". "Rime di Giosuè Carducci, San Miniato, Tipografia Ristori, 1857. Prezzo: tre paoli e mezzo." "La prima copia di questa storica riproduzione fu consegnata, nel corso della commemorazione carducciana, al sindaco di San Miniato al Tedesco dal dott. Ezio della Monica, direttore della Casa Zanichelli, con un discorso. Alla cerimonia era presente la figlia superstite del Poeta, signora Libertà (la 'Tittì 'di "Davanti San Guido")." Dalle bozze del Catalogo Storico Zanichelli, preparato in occasione del primo centenario della Casa Editrice, 1959. "In occasione del centenario del primo volume di versi di Giosue Carducci, le "Rime" che videro la luce a San Miniato al Tedesco nel luglio del 1857, la nostra Casa editrice ha curato la ristampa anastatica del volumetto, in un'edizione numerata di singolare pregio bibliografico, approntata per le celebrazioni che avranno luogo a San Miniato in aprile, per iniziativa di quel Municipio. I fatti che condussero alla pubblicazione delle "Rime" furono dal Carducci rievocati nelle "Risorse di San Miniato", in una pagina arguta che qui ci piace riprodurre. "Le risorse un po' per volta erano cresciute al punto che Trombino e io non sapevamo più come riparare alla abbondanza. I mesi passavano arrecando dalla parte di Dio foglie fiori e frutti alle colline ed ai piani, ma non dalla parte nostra quattrini alle tasche di Afrodisio (l'oste di San Miniato): le liste del Micheletti (il caffettiere) crescevano alte come i gigli nella convalle di Gerico, ma non parimente candide. E con novanta maledette lire codine al mese, come seminare quella rabbiosa aridità e come falciare questa lussuriosa vegetazione? Una mattina Trombino mi entra tutto serio in camera; e, senza preamboli, - Stampiamo le tue poesie - Restai male. Dare qualche sonetto o canzonetta a un giornale o ad un almanacco di città che nella sua modestia mi assicurasse con lo spettacolo dell'io tipografato la discrezione del segreto, dare un'ode o una laude spirituale in fogli volanti per una festa di campagnoli che non ne capissero una sillaba, passi. Ma raccogliere ed esporre io le mie poesie in un libretto a prezzo come in un bordello, e abbandonarle ai contatti del pubblico che le mantrugiasse e stazzonasse come ragazze a cinque o a tre paoli, ohimè! Le poesie, massime allora, io le facevo proprio per me: per me era de' rarissimi piaceri della mia gioventù gittare a pezzi e brani in furia il mio pensiero o il sentimento nella materia della lingua e nei canali del verso, formarlo in abozzo e poi prendermelo su di quando in quando, e darvi della lima o della stecca dentro e addosso rabbiosamente. Qualche volta andava tutto in bricioli: tanto meglio. Qualche volta resisteva; e io vi tornavo intorno a sbalzi, come un orsacchio rabbonito; e mi v'indugiavo sopra brontolando e non mi risolvevo a finire. Finire era per me cessazione di godimento, e, come avevo pur bisogno di godere un poco anch'io, così non finivo mai nulla. Dunque a Trombino aspettante, e che pur tacendo parlava, dissi di no. Egli se ne andò, scrollando la testa. Ma Afrodisio, con la sua ruvida cera d'oste tassoniano, fiottava da settentrione; il Micheletti, con la ben rasa pulitezza di un caffettiere goldoniano, poggiava da mezzogiorno: il Ristori tipografo piccoletto, bruno e vivo come un bel topolino, messo su da Trombino, offeriva un'edizione economica e trattamento d'amico. Trombino la vinse. Così avvenne che ai 23 luglio del 1857 le mie rime uscissero alla luce del pubblico in San Miniato al Tedesco pe' i tipi del Ristori, veterani gloriosi della impressione, tanti anni a dietro compiuta, del Cadmo, poema di Pietro Bagnoli. E ora resta in sodo che io le diedi a stampare non co 'l superbo intendimento di aprire una via nuova o di riaprire una via vecchia e né meno con la modesta speranza d'incoraggiamenti da parte del pubblico italiano, ma con l'intendimento onesto e l'ardita speranza di pagare i miei debiti. Altro che ardita! sfacciata dovevo dire. Ma, poi che l'amico fu sergente a San Martino e al Volturno, e ora che è preside d'un liceo con un barbone di quasi mosaica rispettabilità, posso anche dire e giurare che la colpa fu tutta di Trombino. La espiammo. I debiti, anzi che estinguere, dilagarono. Una mattina d'agosto dovemmo fuggire di celato dalla Torre bianca. Afrodisio c'inseguì in carrettella, il Michelotti per la posta. Trombino tornò, io non tornai: ambedue, grazie ai babbi e alle mamme, pagammo fino a un soldo. E le Rime rimasero esposte ai compatimenti di Francesco Silvio Orlandini, ai disprezzi di Paolo Emiliani Giudici, agl'insulti di Pietro Fanfani." Da «Laboravi fidenter», aprile 1957.