I carmi bucolici Fuori commercio
Virgilio

I carmi bucolici

commentati da Giuseppe Albini

A cura di Giuseppe Albini
  • 1899
  • Note: In 16°, pp. XLIV-132. "(...) All'Albini poeta si affianca il traduttore. Tradurre significa, prima d'ogni altra cosa, intendere, sentire e ricreare, non rifare; penetrare nel santuario profondo di un artista: nelle concezioni, nei moti, nelle immagini, nei colori che a lui danno quella faccia ch'è sua. Opera dunque essenzialmente di poeta, ma insieme, e non meno, di critico vigile e addestrato. Materia e incarnazione delle forme dall'artista create è la parola: essa, chi traduce, deve sapere afferrare nel suono, nella fragranza, nel vero significato, anzi, diceva il Leopardi, "ne l'impressione che là dove è nata faceva o fa alla gente cui la creazione appartiene". L'Albini possedeva senza riserve le qualità che occorrono per un egregio traduttore: vena e gusto di poeta, desto senso di critico; e del latino, da cui particolarmente traslato, la padronanza agile, franca e personale che si è detto e si sa. (...). - Traduce solo poeti per cui è acceso d'amore. Primissimo, Virgilio. Del quale i rivestimenti italiani erano molteplici: ed uno famoso, del Caro; ma proprio esso dei più lontani dal modo di tradurre che l'Albini intendeva: un Virgilio genialmente rifatto alla cinquecento, con forti infiltrazioni di epopea romanzesca. L'Albini vissuto sempre a colloquio col cantore di Enea, dei campi e dei pastori, sentì che urgeva di ricondurre Virgilio a Virgilio, di ripeterne la parola, direbbe il Leopardi, alla maniera e gusto suo, non darne quasi relazione del contenuto o comporre altra opera di su i pensieri di lui. Fedeltà dunque: che non è punto da confondere con la materiale esattezza. Fedeltà esige, anzi tutto, sicurezza d'interpretazione e quindi penetrazione. E qui è il Virgilio dell'Albini: qui segna una data. (...)": GINO FUNAIOLI, da "Giuseppe Albini", Bologna, 1935.